24 novembre 1945
La conferenza arcadica di Benedetto Croce
L’«eccezionale indipendenza dell’Arcadia» durante il fascismo
All’inizio del Novecento l’Arcadia si impegnò in una riforma interna che le permettesse di tornare ad essere protagonista della storia culturale italiana (Acquaro Graziosi, L’Arcadia, pp. 57-59). Il 5 aprile 1925 venne infatti approvato un nuovo regolamento, con l’obiettivo di «far opera di elevazione, di rinnovamento e […] di risanamento», essendo in quegli anni la fama dell’Accademia «quanto mai avvilita e depressa», anzi «oggetto di scherno o di compassione» (Relazione della Commissione preposta alla riforma dell’Arcadia, ivi, pp. 88-91). Uno scherno che assunse una connotazione violenta, ad esempio, in un articolo di Berto Ricci del 10 luglio 1931: «Ma quando l’Arcadia gonfia d’ingenuità falsa e di stupidità verissima, brodosa de’ suoi sciacqui di camomilla, impettita sul suo manico di granata a fregi d’oro, alza la cresta a’ nuvoli e romba: Io son la patria, io la tradizione – eh per Giove, non si resiste alla tentazione di scapaccionarla bene bene, e dirle: A cuccia là. La patria è Carducci; è Tozzi; la rivoluzione è Mussolini» (Ricci, Eterna Arcadia).
Pochi anni dopo, in un discorso pronunciato nel 1940 per l’inaugurazione della nuova sede dell’Arcadia presso la Biblioteca Angelica, il Custode Generale Luigi Pietrobono rivendicò la capacità dell’Accademia di conservare un rapporto vitale con la tradizione e insieme di costruire il futuro: «Ora l’Arcadia è nata con il senso della genuina tradizione italiana e si è ingegnata, a suo modo, di svolgerla e difenderla […]. Nella sua nuova sede essa si propone di andare bensì “dietro le poste delle care piante” di coloro che la fondarono e le acquistarono rinomanza, ma perché sa che i suoi maggiori, senza straniarsi dalla loro età, le additarono una di quelle mete che a ogni passo che moviamo ci sembra di toccare, ma a ogni passo si mostrano più lontane e chiamano a nuove fatiche. Studieremo anche gli antichi, ma per apprendere come si fa ad agire sui contemporanei» (Discorso per la nuova sede dell’Accademia presso la Biblioteca Angelica, in Acquaro Graziosi, L’Arcadia, pp. 92-94).
Emerge qui l’intima libertà dell’Arcadia, quella sua anima conciliante, pacifica, ma sempre attenta a difendere la propria autonomia che sopravvisse persino negli anni del fascismo e della guerra, quando a guidarla fu Nicola Festa, che dall’iniziale avversione al regime passò presto a un convinto appoggio. Non stupisce pertanto che, al termine del secondo conflitto mondiale, Benedetto Croce (Eudoro Dianeo) abbia accolto l’invito a inaugurarne l’anno accademico 1945-1946, anche in segno di riconoscenza nei confronti di una delle due istituzioni culturali che non lo aveva cancellato dall’albo dei soci per il suo rifiuto – unico tra gli intellettuali non ebrei – di compilare il questionario razziale del 1938 (l’altra istituzione fu l’Istituto veneto di scienze, lettere e arti). Per l’occasione lesse la conferenza L’Arcadia e la poesia del Settecento, nella quale dichiarò che merito dell’Accademia fu innanzitutto quello di restaurare «il concetto che si parla e si scrive per dire quel che si sente e non per giocherellare d’ingegnose combinazioni» (p. 4).
La partecipazione all’evento fu straordinaria: non mancarono rappresentanze politiche, quali l’onorevole Bonomi o l’ambasciatore Brosio, e il pubblico, numerosissimo, «si inerpicava agli scaffali delle librerie per meglio vedere, si drizzava su gli stalli eleganti, era una compatta massa nera sotto la luce che spioveva dai finestroni altissimi» (Klitsche de la Grange, In Arcadia tra Ottocento e Novecento, p. 91); neppure l’arresto della corrente elettrica compromise il buon esito dell’evento, che proseguì a lume di candela.
L’omaggio di Croce all’Arcadia, come ben compresero sia coloro che ascoltarono la conferenza sia quanti ne lessero il resoconto sui quotidiani, non fu un semplice gesto di gratitudine, ma un’affermazione potente di rinascita e di libertà, il ritorno simbolico a una comunità che dalla tradizione aveva saputo trarre linfa per rinnovare la cultura italiana, e promuovere il progresso morale, culturale e sociale (cfr. ivi, p. 89).
Rievocando la conferenza crociana alla quale aveva partecipato, Carlo Dionisotti si interrogò, nel momento del suo ingresso tra gli Arcadi con il nome di Mirtesio Caristico, sulle ragioni della «eccezionale indipendenza dell’Arcadia nel bel mezzo di Roma durante la dittatura fascista, se per sola virtù di uomini o anche per una qualche virtù della società e tradizione che quegli uomini, in quanto Arcadi, rappresentavano» (Dionisotti, Don Giuseppe De Luca, p. 10). Un’indipendenza – possiamo dire oggi – che è nella natura profonda dell’Accademia fin dalla nascita, e ancor più dalla promulgazione delle Leges (1696), quando il Commune degli Arcadi, costituitosi come corpo giuridico e politico del tutto autonomo, nella legge I affermò solennemente la piena libertà dell’esercizio democratico del potere: «Penes Commune summa potestas esto. Ad idem cuilibet provocare ius esto», ‘Il potere supremo sia nelle mani della Comunità. Ognuno abbia il diritto di appellarsi ad essa’ (Campanelli, «Per l’avanzamento del nostro Commune», p. 23).
Bibliografia: Berto Ricci, Eterna Arcadia, 10 luglio 1931, articolo disponibile nella teca digitale della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, http://digitale.bnc.roma.sbn.it/tecadigitale/ritagliostampa/BNCR_1980059/BNCR_1980059/1 (dal ritaglio non si desume la sede di pubblicazione); Benedetto Croce, L’Arcadia e la poesia del Settecento, «Quaderni della Critica», II/4, 1946, pp. 1-10, poi in Id., La letteratura italiana del Settecento. Note critiche, Bari, Laterza, 1949, pp. 1-14; Carlo Dionisotti, Don Giuseppe De Luca, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1973; Daniella Annesi Klitsche de la Grange, In Arcadia tra Ottocento e Novecento, Roma, Fratelli Palombi, 1973; Maria Teresa Acquaro Graziosi, L’Arcadia. Trecento anni di storia, Roma, Fratelli Palombi, 1991; Maurizio Campanelli, «Per l’avanzamento del nostro Commune». Diritto e filosofia alle origini dell’Arcadia, in Canoni d’Arcadia. Il custodiato di Crescimbeni, a cura di Maurizio Campanelli, Pietro Petteruti Pellegrino, Paolo Procaccioli, Emilio Russo e Corrado Viola, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2019, pp. 11-32.
Autore: Maila Vaccaro
Revisore: Pietro Petteruti Pellegrino
Data creazione: 27.07.2020
Data modifica: 27.10.2025